Le pene sostitutive rappresentano una soluzione alternativa alla detenzione breve, permettendo di coniugare l’esigenza punitiva con misure meno afflittive e più orientate alla rieducazione. La loro applicazione, tuttavia, è soggetta a precise condizioni normative e interpretazioni giurisprudenziali. Di seguito, analizziamo un’importante pronuncia della Corte di Cassazione in materia.
Sentenza della Corte di Cassazione n. 2223/2025
La terza Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 2223/2025, ha ricordato che, in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, l’istanza di applicazione del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, in quanto indicativa della volontà dell’imputato di eseguire la pena, comporta l’implicita rinuncia alla richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena.
Di conseguenza, in sede di gravame, è preclusa la possibilità di formulare doglianze riguardanti il difetto di motivazione circa il diniego del beneficio, data l’incompatibilità tra i due istituti.
Precedente sentenza n. 33149/2024
In precedenza, la stessa terza Sezione, con sentenza n. 33149/2024, aveva stabilito che, in materia di pene sostitutive di pene detentive brevi, il divieto di applicazione nei casi in cui sia disposta anche la sospensione condizionale della pena—previsto dall’art. 61-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150—non si estende ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore di tale disposizione.
Ciò in ragione della natura sostanziale della previsione introdotta, con conseguente applicazione del principio del favor rei sancito dall’art. 2, comma 4, cod. pen., che prescrive, in caso di successione di leggi penali nel tempo, l’applicazione della norma più favorevole all’imputato.
Criteri di applicazione delle pene sostitutive
La Suprema Corte, nella motivazione, ha inoltre precisato che i criteri di riferimento per l’applicazione delle pene sostitutive in luogo di quelle detentive sono quelli stabiliti dall’art. 53, comma 1, della legge n. 689/1981, nel testo risultante dalla modifica apportata dall’art. 4, comma 1, lett. a), della legge 12 giugno 2003, n. 134.
Non è possibile combinare frammenti di discipline normative differenti, poiché ciò darebbe origine a una "tertia lex" non prevista dal legislatore, con conseguente violazione del principio di legalità.